IL TRIBUNALE Il giudice, nel procedimento n. 352/2008 c.c., nei confronti di Barbagallo Ignazio, difeso dall'avv. Sebastiano Bordonaro del foro di Catania; Osserva Con ricorso depositato in cancelleria in data 17 novembre 2008, la difesa di Barbagallo Ignazio proponeva ricorso/reclamo, ex art. 99 T.U. Spese di giustizia, avverso il provvedimento reso all'udienza del 28 ottobre 2008 dal Tribunale di Catania, sez. prima penale, nel procedimento n. 546/06 R.G.T., con il quale, in applicazione dell'art. 76, comma 4-bis, del d.P.R. n. 115/2002, era stato revocato il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato emesso dal g.i.p. presso il Tribunale di Catania nei confronti dell'imputato Barbagallo Ignazio, sussistendo una causa ostativa al protrarsi di detto beneficio, costituita dalla condanna per il reato di cui all'art. 416-bis c.p., come risultante dal certificato del casellario giudiziale in atti. A mezzo del citato ricorso/reclamo, il ricorrente lamentava una violazione dei propri diritti costituzionali, atteso che l'ordinanza impugnata, statuendo la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in una ipotesi non rientrante tra quelle tassativamente previste dall'art. 112 del d.P.R. n. 115/2002, comprimeva i diritti di difesa dell'imputato. L'introduzione, ad opera dell'art. 12-ter del d.l. n. 92/2008 convertito in legge n. 125/2008, del comma 4-bis dell'art. 76 d.P.R. n. 115/2002, peraltro, secondo la difesa, si poneva in contrasto con le norme costituzionali di cui all'art. 3 e 24 della Costituzione perche' palesemente irragionevole ed in contrasto con il diritto di difesa delle parti. La questione e' rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata. 1. Sulla rilevanza della questione. La norma di cui al comma 4-bis dell'art. 76 d.P.R. n. 115/2002, che prevede, testualmente, che «per i soggetti gia' condannati con sentenza definitiva per i reati di cui agli articoli 416-bis del codice penale, 291-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articoli 80, e 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonche' per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, ai soli fini del presente decreto, il reddito si ritiene superiore ai limiti i previsti», e' posta a fondamento dell'ordinanza di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, emessa sulla base della circostanza che sarebbe sopravvenuta una condizione ostativa al protrarsi del beneficio. Nel caso di specie, invero, la revoca del provvedimento di ammissione e' giustificata dal giudice di prime cure in ragione dell'aver il ricorrente riportato condanna per il reato di cui all'art. 416-bis c.p., circostanza che, alla luce della nuova normativa, impedisce ab origine l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, essendo stata introdotta una presunzione assoluta di superamento dei limiti di reddito previsti dalla normativa in materia di spese di giustizia. La norma della quale si discute, pertanto, trova immediata e piena applicazione nel presente giudizio, attesa la valida esclusione, siccome disposta dal giudice della prima sezione penale di Tribunale di Catania, alla luce della vigente normativa. Ed invero, l'art. 112, lett. d), T.U.S.G., nella novella introdotta dalla legge n. 168/2005, di conversione del d.l. n. 115/2005, prevede che fino a cinque anni dalla definizione del processo, il giudice puo' revocare anche d'ufficio in ogni momento il provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, se risulta provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito per godere del diritto costituzionalmente tutelato a vedersi pagata la difesa dallo Stato. Com'e' noto, l'intervento legislativo del 2005, dunque, ha operato un importante passo in avanti verso l'obiettivo di riservare il patrocinio a spese dello Stato a chi sia effettivamente non abbiente. E con la revoca d'ufficio in ogni momento del provvedimento di ammissione non c'e' alcun vulnus al diritto di difesa, perche', «la previsione costituzionale che assicura ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, presuppone appunto la non abbienza, come definita dal legislatore ordinario» (cosi' la dottrina). Nel testo vigente dal 23 agosto 2005 il primo comma della norma suddetta prevede, pertanto, che il magistrato, con decreto motivato, revoca l'ammissione: a) se, nel termine previsto dall'art. 79, comma 1, lettera d) l'interessato non provvede a comunicare le eventuali variazioni dei limiti di reddito; b) se, a seguito della comunicazione prevista dall'art. 79, comma 1, lettera d), le condizioni di reddito risultano variate in misura tale da escludere l'ammissione; c) se nei termini previsti dall'art. 94, comma 3, non sia stata prodotta la certificazione dell'autorita' consolare; d) d'ufficio o su richiesta dell'ufficio finanziario competente, presentata in ogni momento, e comunque non oltre cinque anni dalla definizione del processo, se risulta provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli articoli 76 e 92. Il provvedimento della prima sezione del Tribunale di Catania, diversamente da quanto affermato dalla difesa del ricorrente, trae il proprio fondamento dalla lettera d) del citato art. 112 T.U.S.G. atteso che, nel corso del processo, e' stata introdotta una presunzione di superamento dei limiti di reddito tale da giustificare la revoca ex nunc del provvedimento di ammissione. La situazione all'attenzione del giudice, in altre parole, e' perfettamente assimilabile all'ipotesi in cui, nel corso del processo, sia emerso che l'imputato abbia percepito redditi superiori al limite previsto e che, pertanto, non abbia piu' diritto al beneficio. A seguito dell'entrata in vigore del comma 4-bis dell'art. 76 d.P.R. n. 115/2002, alla revoca del beneficio derivante dal superamento concreto dei limiti di reddito (intervenuto nel corso del procedimento ed accertato d'ufficio o comunicato dal beneficiario), e' stata affiancata l'ipotesi di superamento «di diritto» dei limiti di reddito («il reddito si ritiene superiore ai limiti»). In virtu' di suddetta norma il giudice, analogamente a quanto avrebbe dovuto fare qualora le potenzialita' economiche dell'imputato (o dei suoi familiari) fossero state (ab origine o in ragione di una modifica sopravvenuta) superiori al limite di legge, e' chiamato a revocare, con efficacia ex nunc, il beneficio sino ad allora concesso. Ne', peraltro, e' possibile accedere alla tesi avanzata dalla difesa, in ordine alla natura sostanziale delle norme in oggetto e alla conseguente applicazione dei principi di cui all'art. 2 c.p., atteso che la situazione di non abbienza che giustifica l'accessione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato e' situazione dinamica destinata a mutare con il mutamento delle condizioni di reddito del soggetto ammesso al beneficio. Il mutamento e' «di fatto» nell'ipotesi in cui vi sia una effettiva variazione delle potenzialita' economiche del soggetto ed e' «di diritto», alla luce della nuova formulazione dell'art. 76, comma 4-bis, nell'ipotesi in cui il soggetto sia stato condannato per uno dei reati di cui all'art. 12-ter legge n. 125/2008. Del tutto condivisibile, pertanto, alla luce della vigente normativa, il provvedimento di revoca oggetto di impugnazione. Si pone, tuttavia, il problema della legittimita' costituzionale della norma di cui all'art. 76, comma 4-bis, T.U.S.G. nella parte in cui prevede iuris et de iure la presunzione di superamento dei limiti di reddito a carico di chi sia stato condannato (tra gli altri) per il reato di cui all'art. 416-bis c.p. 2. Sulla non manifesta infondatezza della questione. Occorre, anzitutto, analizzare la natura del diritto al patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti. L'istituto trova la sua fonte nell'art. 24, comma terzo, della Carta fondamentale («sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione»). La natura di diritto soggettivo assoluto del patrocinio a spese dello Stato e' stata in diverse occasioni ribadita dalla Corte costituzionale: «si tratta di valori costituzionali che non hanno una portata strettamente soggettiva, ma sottendono un piu' ampio interesse generale, soprattutto nel caso di patrocinio in materia penale per la difesa dell'imputato (che e' la fattispecie presa in considerazione dal giudice rimettente); ed infatti soltanto se all'imputato non abbiente, ancorche' tale non incolpevolmente, siano assicurati i mezzi per difendersi trova ordinata esplicazione la potesta' punitiva statuale. Sotto questo profilo il carattere primario di tali valori costituzionali, inerenti al diritto di azione ed al diritto di difesa, trascende l'ambito strettamente individuale della tutela di diritti ed interessi legittimi dei singoli e rende piena ragione dell'irrilevanza - nel terzo comma dell'art. 24 Cost. - del fatto che lo stato di non abbienza possa eventualmente non essere incolpevole, senza per cio' solo far venir meno il beneficio del patrocinio a spese dello Stato» (Corte cost., sent. n. 144/1992; conformi: Corte cost., sentenze n. 139/98 e n. 33/99). Peraltro, citando le Sezioni unite della Corte di cassazione, «il carattere primario dei valori costituzionali espressi dal riconoscimento del diritto di azione e di difesa in giudizio sancito dal primo comma dell'art. 24 Cost., di cui la garanzia del terzo comma costituisce necessario corollario in forza dei principi di uguaglianza e di solidarieta', sottendono un piu' ampio interesse generale ed assumono un'ancora piu' marcata cogenza per il legislatore soprattutto nel caso di patrocinio in materia penale per la difesa dell'imputato, perche' soltanto se all'imputato non abbiente siano assicurati i mezzi per difendersi trova ordinata esplicazione la potesta' punitiva statuale; di talche' la garanzia dev'essere ritenuta operante tutte le volte in cui si sia in presenza di un procedimento giurisdizionale nel quale l'imputato abbia diritto di farsi assistere dal proprio difensore» (Cass. pen. , SS. UU., 24 novembre 1999, n. 25). Tanto premesso sulla natura di rango costituzionale del diritto dei non abbienti all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la presunzione assoluta di superamento dei limiti di reddito introdotta dall'art. 12-ter d.l. n. 92/2008, nella parte in cui non ammette l'imputato, gia' condannato, a fornire la prova contraria della non abbienza, si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione. Esiste, anzitutto, una violazione dell'art. 3 della Costituzione con riferimento al principio di uguaglianza, atteso che la presunzione assoluta di abbienza implica una ingiustificata disparita' di trattamento tra i soggetti che siano stati condannati per i reati compresi nel comma 4-bis dell'art. 76 T.U.S.G. e tutti i condannati per reati diversi. Detta disparita' di trattamento non puo' essere giustificata con il solo riferimento al maggior allarme sociale derivante dalla commissione dei reati compresi nel suddetto comma 4-bis, ne' con la volonta' legislativa di escludere del tutto dal patrocinio a spese dello Stato i condannati per suddetti reati posto che, in detta ipotesi, il legislatore avrebbe utilizzato la forma dell'esclusione diretta dal beneficio (cosi' come accade per l'indagato, l'imputato o il condannato per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, giusta l'art. 91 T.U.S.G.). La violazione del principio di uguaglianza sussiste, altresi', anche tra i condannati per i reati associativi previsti dallo stesso comma 4-bis dell'art. 76 d.P.R. n. 115/2002. La norma, invero, sancisce la presunzione di superamento dei limiti di reddito assimilando la posizione dei condannati per il reato di cui agli «artt. 416-bis c.p., 291-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43 e 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 80, e 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonche' per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo», in tal modo operando una violazione del principio di uguaglianza. Una prima ingiustificata disparita' di trattamento emerge con riferimento ai condannati per i reati di cui agli artt. 416-bis c.p. e 291-quater, d.P.R. n. 43/1973, per i quali la presunzione scatta indipendentemente dal ruolo dagli stessi svolto in seno all'associazione criminale di appartenenza, ed i condannati per le associazioni finalizzate allo spaccio di stupefacenti, nei confronti dei quali la presunzione - secondo il dettato normativo - opera nella sola ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 80 d.P.R. n. 309/1990 e solo qualora il condannato abbia promosso, costituito, diretto, organizzato o finanziato l'associazione, giusta il richiamo al solo primo comma dell'art. 74 d.P.R. n. 309/1990. Cio' implica una violazione dei principi di uguaglianza sostanziale e di ragionevolezza, atteso che non si ravvisa alcuna ragionevole motivazione in virtu' della quale applicare la presunzione di abbienza a tutti i partecipi delle associazioni mafiose o finalizzate al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, e, al contempo, limitare suddetta presunzione ai soli soggetti che rivestono un ruolo apicale quando si faccia riferimento alle associazioni finalizzate allo spaccio di stupefacenti (in tal modo escludendo tutti gli altri partecipanti all'associazione). L'estensione a tutti i partecipi nel caso di associazioni mafiose o di contrabbando e la limitazione ai soli capi nel caso di associazioni finalizzate allo spaccio di stupefacenti, invero, si pone in contrasto con il principio di uguaglianza sostanziale (posto che identiche situazioni - essere partecipi di un'associazione criminale - produce diverse conseguenze in ragione della finalita' dell'associazione) e collide, altresi', anche con il principio di ragionevolezza, di cui allo stesso art. 3 Cost., non giustificandosi in alcun modo il perche' della limitazione. Ulteriore, ingiustificata, disparita' di trattamento si ravvisa, poi, tra i condannati ex art. 416-bis c.p. e coloro i quali siano stati condannati per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, in tal modo essendo stata realizzata una piena parificazione tra soggetti associati e soggetti i quali, pur non facendo necessariamente parte di un'associazione mafiosa, abbiano agito avvalendosi del c.d. metodo mafioso o al fine di agevolare un'associazione ex art. 416-bis c.p. (e, quindi, commettendo un reato aggravato ex art. 7 d.l. n. 152/1992). A tal proposito, occorre rilevare che, ai fini dell'applicazione della circostanza di cui al citato art. 7 del d.l. n. 152/1992, non e' necessario che l'agente sia introneo all'associazione mafiosa, potendo anche trattarsi di soggetto il quale, pur non associato, si sia avvalso del metodo mafioso o abbia agito per agevolare un'associazione mafiosa. In tale ipotesi, la modifica apportata all'art. 76 d.P.R. n. 115/2002 produce l'irragionevole conseguenza che detto ipotetico agente si troverebbe a dover subire una presunzione assoluta di percezione di redditi, pur senza essere introneo all'associazione, ovvero stabilmente inserito in essa, cosi' venendo meno la stessa ratio della norma. In detta ipotesi, invero, il legislatore ha applicato la medesima conseguenza a soggetti non introni all'associazione (dalla quale, presumibilmente, non ricevono alcuno stabile contributo) e soggetti stabilmente inseriti in essa. La presunzione assoluta di percezione di redditi superiori ai limiti di legge, di cui al novellato art. 76 d.P.R. n. 115/2002 collide, poi, anche con la previsione di cui all'art. 24, terzo comma della Costituzione, con l'art. 6, comma 3, lett. c) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e con l'art. 14, comma 3, lett. d) del Patto internazionale diritti civili e politici, che garantiscono ai non abbienti la possibilita' di accedere, comunque, alla difesa. La norma della cui costituzionalita' si dubita, invero, esclude assolutamente - in concreto - le categorie di condannati per i reati in oggetto dalla possibilita' di accedere al beneficio, cosi' limitando il loro diritto costituzionale alla difesa. Ed invero, se i soggetti che non siano abbienti hanno diritto di accedere al beneficio del patrocinio a spese dello Stato e se detto diritto ha natura costituzionale perche' attiene alla possibilita' di avere garantita l'effettivita' della difesa tecnica, la norma in oggetto, escludendo dal beneficio intere categorie di soggetti in ragione dell'avere, questi, subito condanne per determinate delitti, lede un diritto costituzionalmente previsto e garantito. Il legislatore, invero, ha introdotto una limitazione all'accesso al patrocinio non piu' collegata allo stato di non abbienza del soggetto che chiede di essere ammesso, ma in ragione delle risultanze del certificato del casellario giudiziale. Indipendentemente da una effettiva analisi sullo stato di non abbienza, invero, il soggetto gia' condannato per i reati di cui all'art. 12-ter d.l. n. 92/2008 e' escluso in radice dalla possibilita' di essere ammesso quand'anche lo stesso dimostrasse di non percepire effettivamente alcun reddito e di non avere alcuna potenzialita' economica (nemmeno di origine illecita) con la quale accedere alla difesa. Non puo' escludersi, peraltro, che un soggetto che sia stato condannato illo tempore per uno dei reati previsti dall'art. 12-ter d.l. n. 92/2008 si sia allontanato dall'ambiente criminale di riferimento e non abbia effettivamente un reddito sufficiente a garantirsi una difesa. Deve ritenersi, pertanto, che la norma in oggetto, nella parte in cui non concede al condannato la possibilita' di vincere la presunzione di legge in ordine al superamento dei limiti reddituali, si pone in contrasto non solo con il citato art. 3 della Costituzione ma anche e soprattutto con il principio di inviolabilita' del diritto di difesa di cui all'art. 24, secondo comma della Costituzione, al quale e' direttamente connesso il principio di assicurare ai non abbienti i mezzi per l'esercizio dello stesso diritto, previsto dal successivo 3 comma dello stesso art. 24 Cost. La nuova formulazione dell'art. 76, comma 4-bis, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dall'art. 12-ter del d.l. n. 92/2008, convertito in legge n. 125/2008, si pone, dunque, in contrasto con l'art. 24 Cost., in ragione della impossibilita' per il condannato di dare una prova contraria della propria impossidenza. Ne' e' possibile accedere ad una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, posto che dal testo della legge si ricava una presunzione assoluta in ordine al superamento della soglia di reddito prevista che, inevitabilmente, per tutto quanto detto prima, collide con i principi costituzionali in materia. Dall'esame dei lavori preparatori all'art. 12-ter del d.l. n. 92/2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 125/2008, che ha introdotto il comma 4-bis del d.P.R. n. 115/2002, emerge che il legislatore e' intervenuto con la precisa e dichiarata volonta' di limitare l'accesso al beneficio per i soggetti che siano gia' stati condannati per uno dei reati indicati nel predetto art. 12-ter. Ed invero, nel dossier n. 33 del luglio 2008 (Atto Senato n. 692-B), (in http://www.parlamento.it/documenti/repository/dossier/studi/2008/Doss ier_033.pdf) si legge: «in primo luogo, viene modificato l'art. 76 del Testo unico, introducendovi il comma 4-bis, che prevede l'esclusione dal gratuito patrocinio per i condannati con sentenza irrevocabile per alcune categorie di reati di particolare allarme sociale (lettera a)). Per tali soggetti e', infatti, stabilita una presunzione di superamento delle condizioni reddituali necessarie per accedere a tale beneficio. La condanna definitiva deve riguardare i seguenti reati: - associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.); - associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art 291-quater, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43); - produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o psicotrope, limitatamente alle ipotesi aggravate (artt. 73 e 74, comma 1, del testo unico di cui al d.P.R. n. 309/1990); - reati commessi avvalendosi dell'intimidazione connessa all'appartenenza all'associazione mafiosa o al fine di agevolare l'attivita' associativa». L'esame dei lavori preparatori conduce ad escludere, senza dubbio alcuno, se non ponendosi in aperto contrasto con la disposizione legislativa e con l'intenzione del legislatore emergente dai lavori preparatori, la possibilita' di accedere ad una lettura costituzionalmente orientata della norma de qua (dovendosi escludere l'unica lettura costituzionalmente orientata della norma ed ammettere la possibilita' per il condannato di dimostrare l'incapienza patrimoniale, l'inesistenza di redditi, anche illeciti o occulti ed, in definitiva, la propria non abbienza).