IL TRIBUNALE 
 
    Il giudice, nel procedimento n. 352/2008 c.c., nei  confronti  di
Barbagallo Ignazio, difeso dall'avv. Sebastiano Bordonaro del foro di
Catania; 
 
                               Osserva 
 
    Con ricorso depositato in cancelleria in data 17  novembre  2008,
la difesa di Barbagallo Ignazio proponeva ricorso/reclamo, ex art. 99
T.U. Spese di giustizia, avverso il  provvedimento  reso  all'udienza
del 28 ottobre 2008 dal Tribunale di Catania, sez. prima penale,  nel
procedimento  n.  546/06  R.G.T.,  con  il  quale,  in   applicazione
dell'art. 76, comma 4-bis, del d.P.R. n. 115/2002, era stato revocato
il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato emesso dal
g.i.p. presso il Tribunale di  Catania  nei  confronti  dell'imputato
Barbagallo Ignazio, sussistendo una causa ostativa  al  protrarsi  di
detto beneficio, costituita  dalla  condanna  per  il  reato  di  cui
all'art. 416-bis c.p., come risultante dal certificato del casellario
giudiziale in atti. 
    A mezzo del citato ricorso/reclamo, il ricorrente  lamentava  una
violazione dei propri diritti costituzionali, atteso che  l'ordinanza
impugnata, statuendo la revoca del  provvedimento  di  ammissione  al
patrocinio a spese dello Stato in  una  ipotesi  non  rientrante  tra
quelle tassativamente previste dall'art. 112 del d.P.R. n.  115/2002,
comprimeva i diritti di difesa dell'imputato. 
    L'introduzione, ad opera dell'art. 12-ter  del  d.l.  n.  92/2008
convertito in legge n. 125/2008, del comma 4-bis dell'art. 76  d.P.R.
n. 115/2002, peraltro, secondo la difesa, si poneva in contrasto  con
le norme costituzionali di cui all'art. 3  e  24  della  Costituzione
perche' palesemente irragionevole ed in contrasto con il  diritto  di
difesa delle parti. 
    La  questione  e'  rilevante  nel   presente   giudizio   e   non
manifestamente infondata. 
1. Sulla rilevanza della questione. 
    La norma di cui al comma 4-bis dell'art. 76 d.P.R.  n.  115/2002,
che prevede, testualmente, che «per i soggetti  gia'  condannati  con
sentenza definitiva per i reati di  cui  agli  articoli  416-bis  del
codice penale, 291-quater del testo  unico  di  cui  al  decreto  del
Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, 73, limitatamente
alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articoli 80, e 74, comma 1,  del
testo unico di cui al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  9
ottobre 1990, n. 309, nonche' per i reati commessi avvalendosi  delle
condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al  fine  di
agevolare  l'attivita'  delle  associazioni  previste  dallo   stesso
articolo, ai soli fini del presente decreto, il  reddito  si  ritiene
superiore ai limiti i previsti», e' posta a fondamento dell'ordinanza
di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello
Stato, emessa sulla base della circostanza che  sarebbe  sopravvenuta
una condizione ostativa al  protrarsi  del  beneficio.  Nel  caso  di
specie,  invero,  la  revoca  del  provvedimento  di  ammissione   e'
giustificata dal giudice  di  prime  cure  in  ragione  dell'aver  il
ricorrente riportato condanna per il reato di  cui  all'art.  416-bis
c.p., circostanza che, alla luce della nuova normativa, impedisce  ab
origine l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, essendo stata
introdotta una presunzione assoluta  di  superamento  dei  limiti  di
reddito previsti dalla normativa in materia di spese di giustizia. 
    La norma della quale si  discute,  pertanto,  trova  immediata  e
piena  applicazione  nel  presente   giudizio,   attesa   la   valida
esclusione, siccome disposta dal giudice della prima  sezione  penale
di Tribunale di Catania, alla luce della vigente normativa. 
    Ed  invero,  l'art.  112,  lett.  d),  T.U.S.G.,  nella   novella
introdotta dalla legge  n.  168/2005,  di  conversione  del  d.l.  n.
115/2005, prevede che  fino  a  cinque  anni  dalla  definizione  del
processo, il giudice puo' revocare anche d'ufficio in ogni momento il
provvedimento di ammissione al patrocinio a  spese  dello  Stato,  se
risulta  provata  la  mancanza,  originaria  o  sopravvenuta,   delle
condizioni di  reddito  per  godere  del  diritto  costituzionalmente
tutelato a vedersi pagata la difesa dallo Stato. 
    Com'e'  noto,  l'intervento  legislativo  del  2005,  dunque,  ha
operato un importante passo in avanti verso l'obiettivo di  riservare
il patrocinio a spese  dello  Stato  a  chi  sia  effettivamente  non
abbiente. E con la revoca d'ufficio in ogni momento del provvedimento
di ammissione non c'e' alcun vulnus al diritto  di  difesa,  perche',
«la previsione costituzionale che assicura ai non  abbienti  i  mezzi
per agire e difendersi  davanti  ad  ogni  giurisdizione,  presuppone
appunto la non abbienza, come  definita  dal  legislatore  ordinario»
(cosi' la dottrina). 
    Nel testo vigente dal 23 agosto 2005 il primo comma  della  norma
suddetta prevede, pertanto, che il magistrato, con decreto  motivato,
revoca l'ammissione: a) se, nel termine previsto dall'art. 79,  comma
1, lettera d) l'interessato non provvede a  comunicare  le  eventuali
variazioni  dei  limiti  di  reddito;  b)   se,   a   seguito   della
comunicazione  prevista  dall'art.  79,  comma  1,  lettera  d),   le
condizioni di reddito risultano variate in misura tale  da  escludere
l'ammissione; c) se nei termini previsti dall'art. 94, comma  3,  non
sia stata prodotta la  certificazione  dell'autorita'  consolare;  d)
d'ufficio  o  su  richiesta  dell'ufficio   finanziario   competente,
presentata in ogni momento, e comunque non oltre  cinque  anni  dalla
definizione del processo, se risulta provata la mancanza,  originaria
o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli articoli 76 e
92. 
    Il provvedimento della prima sezione del  Tribunale  di  Catania,
diversamente da quanto affermato dalla difesa del ricorrente, trae il
proprio fondamento dalla lettera d)  del  citato  art.  112  T.U.S.G.
atteso  che,  nel  corso  del  processo,  e'  stata  introdotta   una
presunzione di superamento dei limiti di reddito tale da giustificare
la revoca ex nunc del provvedimento di ammissione. 
    La situazione all'attenzione del giudice,  in  altre  parole,  e'
perfettamente  assimilabile  all'ipotesi  in  cui,  nel   corso   del
processo, sia emerso che l'imputato abbia percepito redditi superiori
al limite previsto  e  che,  pertanto,  non  abbia  piu'  diritto  al
beneficio. A seguito dell'entrata in vigore del comma 4-bis dell'art.
76 d.P.R. n.  115/2002,  alla  revoca  del  beneficio  derivante  dal
superamento concreto dei limiti di reddito (intervenuto nel corso del
procedimento ed accertato d'ufficio o comunicato  dal  beneficiario),
e' stata affiancata l'ipotesi di superamento «di diritto» dei  limiti
di reddito («il reddito si ritiene superiore ai limiti»). 
    In virtu' di suddetta norma il  giudice,  analogamente  a  quanto
avrebbe dovuto fare qualora le potenzialita' economiche dell'imputato
(o dei suoi familiari) fossero state (ab origine o in ragione di  una
modifica sopravvenuta) superiori al limite di legge,  e'  chiamato  a
revocare,  con  efficacia  ex  nunc,  il  beneficio  sino  ad  allora
concesso. 
    Ne', peraltro, e' possibile accedere  alla  tesi  avanzata  dalla
difesa, in ordine alla natura sostanziale delle norme  in  oggetto  e
alla conseguente applicazione dei principi di cui  all'art.  2  c.p.,
atteso che la situazione di non abbienza che giustifica  l'accessione
al beneficio  del  patrocinio  a  spese  dello  Stato  e'  situazione
dinamica destinata a mutare con  il  mutamento  delle  condizioni  di
reddito del soggetto ammesso al beneficio. Il mutamento e' «di fatto»
nell'ipotesi  in  cui  vi  sia   una   effettiva   variazione   delle
potenzialita' economiche del soggetto ed e' «di diritto»,  alla  luce
della nuova formulazione dell'art. 76, comma 4-bis,  nell'ipotesi  in
cui il soggetto sia  stato  condannato  per  uno  dei  reati  di  cui
all'art. 12-ter legge n. 125/2008. 
    Del  tutto  condivisibile,  pertanto,  alla  luce  della  vigente
normativa, il provvedimento di revoca oggetto di impugnazione. 
    Si pone, tuttavia, il problema della legittimita'  costituzionale
della norma di cui all'art. 76, comma 4-bis, T.U.S.G. nella parte  in
cui prevede iuris et de iure la presunzione di superamento dei limiti
di reddito a carico di chi sia stato condannato (tra gli  altri)  per
il reato di cui all'art. 416-bis c.p. 
2. Sulla non manifesta infondatezza della questione. 
    Occorre,  anzitutto,  analizzare  la  natura   del   diritto   al
patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti. 
    L'istituto trova la sua fonte nell'art. 24,  comma  terzo,  della
Carta fondamentale («sono assicurati ai non  abbienti,  con  appositi
istituti,  i  mezzi  per  agire  e   difendersi   davanti   ad   ogni
giurisdizione»). 
    La natura di diritto soggettivo assoluto del patrocinio  a  spese
dello Stato e'  stata  in  diverse  occasioni  ribadita  dalla  Corte
costituzionale: «si tratta di valori costituzionali che non hanno una
portata  strettamente  soggettiva,  ma  sottendono  un   piu'   ampio
interesse generale, soprattutto nel caso  di  patrocinio  in  materia
penale per la difesa dell'imputato (che e' la  fattispecie  presa  in
considerazione  dal  giudice  rimettente);  ed  infatti  soltanto  se
all'imputato non abbiente, ancorche' tale non incolpevolmente,  siano
assicurati i mezzi per  difendersi  trova  ordinata  esplicazione  la
potesta'  punitiva  statuale.  Sotto  questo  profilo  il   carattere
primario di tali valori costituzionali, inerenti al diritto di azione
ed al diritto di difesa, trascende l'ambito strettamente  individuale
della tutela di diritti ed interessi legittimi dei  singoli  e  rende
piena ragione dell'irrilevanza - nel terzo comma dell'art. 24 Cost. -
del fatto che lo stato di non abbienza possa eventualmente non essere
incolpevole, senza per cio' solo far  venir  meno  il  beneficio  del
patrocinio a spese dello Stato»  (Corte  cost.,  sent.  n.  144/1992;
conformi: Corte cost., sentenze n. 139/98 e n. 33/99). 
    Peraltro, citando le Sezioni unite della Corte di cassazione, «il
carattere   primario   dei   valori   costituzionali   espressi   dal
riconoscimento del diritto di azione e di difesa in giudizio  sancito
dal primo comma dell'art. 24 Cost., di  cui  la  garanzia  del  terzo
comma costituisce necessario corollario  in  forza  dei  principi  di
uguaglianza e di solidarieta', sottendono  un  piu'  ampio  interesse
generale  ed  assumono  un'ancora  piu'  marcata   cogenza   per   il
legislatore soprattutto nel caso di patrocinio in materia penale  per
la  difesa  dell'imputato,  perche'  soltanto  se  all'imputato   non
abbiente siano assicurati  i  mezzi  per  difendersi  trova  ordinata
esplicazione la potesta' punitiva statuale; di  talche'  la  garanzia
dev'essere ritenuta operante tutte le volte in cui si sia in presenza
di un procedimento giurisdizionale nel quale l'imputato abbia diritto
di farsi assistere dal proprio difensore» (Cass. pen. , SS.  UU.,  24
novembre 1999, n. 25). 
    Tanto premesso sulla natura di rango costituzionale  del  diritto
dei non abbienti all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la
presunzione assoluta di superamento dei limiti di reddito  introdotta
dall'art. 12-ter d.l. n. 92/2008, nella  parte  in  cui  non  ammette
l'imputato, gia' condannato, a fornire la prova contraria  della  non
abbienza,  si  pone  in  contrasto  con  gli  artt.  3  e  24   della
Costituzione. 
    Esiste, anzitutto, una violazione dell'art. 3 della  Costituzione
con  riferimento  al  principio  di  uguaglianza,   atteso   che   la
presunzione  assoluta  di   abbienza   implica   una   ingiustificata
disparita' di trattamento tra i soggetti che siano  stati  condannati
per i reati compresi nel comma 4-bis dell'art. 76 T.U.S.G. e tutti  i
condannati per reati diversi. 
    Detta disparita' di trattamento non puo' essere giustificata  con
il solo  riferimento  al  maggior  allarme  sociale  derivante  dalla
commissione dei reati compresi nel suddetto comma 4-bis, ne'  con  la
volonta' legislativa di escludere del tutto dal  patrocinio  a  spese
dello Stato i condannati per  suddetti  reati  posto  che,  in  detta
ipotesi, il legislatore avrebbe utilizzato la  forma  dell'esclusione
diretta dal beneficio (cosi' come accade per l'indagato, l'imputato o
il condannato per reati commessi in violazione  delle  norme  per  la
repressione dell'evasione in materia di imposte  sui  redditi  e  sul
valore aggiunto, giusta l'art. 91 T.U.S.G.). 
    La violazione del principio di  uguaglianza  sussiste,  altresi',
anche tra i condannati per i reati associativi previsti dallo  stesso
comma 4-bis dell'art. 76 d.P.R. n. 115/2002. 
    La norma, invero, sancisce  la  presunzione  di  superamento  dei
limiti di reddito assimilando la  posizione  dei  condannati  per  il
reato di cui agli «artt. 416-bis c.p., 291-quater del testo unico  di
cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43
e 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art.  80,  e
74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del  Presidente  della
Repubblica 9 ottobre 1990, n.  309,  nonche'  per  i  reati  commessi
avvalendosi delle  condizioni  previste  dal  predetto  art.  416-bis
ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle  associazioni  previste
dallo stesso articolo», in  tal  modo  operando  una  violazione  del
principio di uguaglianza.  Una  prima  ingiustificata  disparita'  di
trattamento emerge con riferimento ai condannati per i reati  di  cui
agli artt. 416-bis c.p. e 291-quater, d.P.R. n. 43/1973, per i  quali
la presunzione scatta indipendentemente dal ruolo dagli stessi svolto
in seno all'associazione criminale di appartenenza, ed  i  condannati
per le associazioni finalizzate allo  spaccio  di  stupefacenti,  nei
confronti dei quali la presunzione - secondo il dettato  normativo  -
opera nella sola ipotesi aggravate ai sensi dell'art.  80  d.P.R.  n.
309/1990 e solo qualora il  condannato  abbia  promosso,  costituito,
diretto, organizzato o finanziato l'associazione, giusta il  richiamo
al solo primo comma dell'art. 74 d.P.R. n. 309/1990. 
    Cio'  implica  una  violazione  dei   principi   di   uguaglianza
sostanziale e di ragionevolezza, atteso che  non  si  ravvisa  alcuna
ragionevole  motivazione  in  virtu'   della   quale   applicare   la
presunzione di  abbienza  a  tutti  i  partecipi  delle  associazioni
mafiose o finalizzate al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, e,
al contempo, limitare  suddetta  presunzione  ai  soli  soggetti  che
rivestono  un  ruolo  apicale  quando  si  faccia  riferimento   alle
associazioni finalizzate allo spaccio di stupefacenti  (in  tal  modo
escludendo tutti gli altri partecipanti all'associazione). 
    L'estensione a tutti i partecipi nel caso di associazioni mafiose
o di  contrabbando  e  la  limitazione  ai  soli  capi  nel  caso  di
associazioni finalizzate allo spaccio  di  stupefacenti,  invero,  si
pone in contrasto con il principio di uguaglianza sostanziale  (posto
che  identiche  situazioni  -  essere  partecipi  di  un'associazione
criminale - produce diverse conseguenze in  ragione  della  finalita'
dell'associazione) e collide, altresi', anche  con  il  principio  di
ragionevolezza, di cui allo stesso art. 3 Cost., non  giustificandosi
in alcun modo il perche' della limitazione. 
    Ulteriore, ingiustificata, disparita' di trattamento si  ravvisa,
poi, tra i condannati ex art. 416-bis c.p. e  coloro  i  quali  siano
stati condannati per i reati commessi  avvalendosi  delle  condizioni
previste dal predetto  art.  416-bis  ovvero  al  fine  di  agevolare
l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, in tal
modo essendo stata realizzata una piena  parificazione  tra  soggetti
associati e soggetti i quali, pur non facendo  necessariamente  parte
di un'associazione mafiosa, abbiano agito avvalendosi del c.d. metodo
mafioso o al fine di agevolare un'associazione ex art.  416-bis  c.p.
(e, quindi,  commettendo  un  reato  aggravato  ex  art.  7  d.l.  n.
152/1992). 
    A tal proposito, occorre rilevare che, ai fini  dell'applicazione
della circostanza di cui al citato art. 7 del d.l. n.  152/1992,  non
e' necessario che l'agente  sia  introneo  all'associazione  mafiosa,
potendo anche trattarsi di soggetto il quale, pur non  associato,  si
sia  avvalso  del  metodo  mafioso  o  abbia  agito   per   agevolare
un'associazione mafiosa. 
    In tale ipotesi, la modifica  apportata  all'art.  76  d.P.R.  n.
115/2002 produce  l'irragionevole  conseguenza  che  detto  ipotetico
agente si troverebbe a  dover  subire  una  presunzione  assoluta  di
percezione di redditi, pur senza  essere  introneo  all'associazione,
ovvero stabilmente inserito in essa, cosi'  venendo  meno  la  stessa
ratio della norma. 
    In detta ipotesi, invero, il legislatore ha applicato la medesima
conseguenza a soggetti non  introni  all'associazione  (dalla  quale,
presumibilmente, non ricevono alcuno stabile contributo)  e  soggetti
stabilmente inseriti in essa. 
    La presunzione assoluta di percezione  di  redditi  superiori  ai
limiti di legge, di cui al  novellato  art.  76  d.P.R.  n.  115/2002
collide, poi, anche con la previsione di cui all'art. 24, terzo comma
della Costituzione, con l'art. 6, comma 3, lett. c) della Convenzione
europea dei diritti dell'uomo e con l'art. 14, comma 3, lett. d)  del
Patto internazionale diritti civili e politici, che  garantiscono  ai
non abbienti la possibilita' di accedere, comunque, alla difesa. 
    La norma della cui costituzionalita' si dubita,  invero,  esclude
assolutamente - in concreto - le categorie di condannati per i  reati
in  oggetto  dalla  possibilita'  di  accedere  al  beneficio,  cosi'
limitando il loro diritto costituzionale alla difesa. 
    Ed invero, se i soggetti che non siano abbienti hanno diritto  di
accedere al beneficio del patrocinio a spese dello Stato e  se  detto
diritto ha natura costituzionale perche' attiene alla possibilita' di
avere garantita l'effettivita' della  difesa  tecnica,  la  norma  in
oggetto, escludendo dal beneficio intere  categorie  di  soggetti  in
ragione dell'avere, questi, subito condanne per determinate  delitti,
lede  un  diritto  costituzionalmente  previsto   e   garantito.   Il
legislatore, invero, ha introdotto  una  limitazione  all'accesso  al
patrocinio non piu' collegata allo stato di non abbienza del soggetto
che chiede di essere ammesso, ma  in  ragione  delle  risultanze  del
certificato del casellario giudiziale. 
    Indipendentemente da una effettiva analisi  sullo  stato  di  non
abbienza, invero, il soggetto gia' condannato  per  i  reati  di  cui
all'art.  12-ter  d.l.  n.  92/2008  e'  escluso  in   radice   dalla
possibilita' di essere ammesso quand'anche lo stesso  dimostrasse  di
non percepire effettivamente alcun reddito  e  di  non  avere  alcuna
potenzialita' economica (nemmeno di origine illecita)  con  la  quale
accedere alla difesa. 
    Non puo' escludersi, peraltro, che  un  soggetto  che  sia  stato
condannato illo tempore per uno dei reati previsti  dall'art.  12-ter
d.l.  n.  92/2008  si  sia  allontanato  dall'ambiente  criminale  di
riferimento e non  abbia  effettivamente  un  reddito  sufficiente  a
garantirsi una difesa. Deve ritenersi,  pertanto,  che  la  norma  in
oggetto, nella parte in cui non concede al condannato la possibilita'
di vincere la presunzione di  legge  in  ordine  al  superamento  dei
limiti reddituali, si pone in contrasto non solo con il citato art. 3
della Costituzione  ma  anche  e  soprattutto  con  il  principio  di
inviolabilita' del diritto di difesa  di  cui  all'art.  24,  secondo
comma della  Costituzione,  al  quale  e'  direttamente  connesso  il
principio di assicurare ai non abbienti i mezzi per l'esercizio dello
stesso diritto, previsto dal successivo 3 comma dello stesso art.  24
Cost. 
    La nuova formulazione dell'art. 76, comma 4-bis,  del  d.P.R.  n.
115/2002, come modificato  dall'art.  12-ter  del  d.l.  n.  92/2008,
convertito in legge n. 125/2008, si pone, dunque,  in  contrasto  con
l'art. 24 Cost., in ragione della impossibilita' per il condannato di
dare una prova contraria della propria impossidenza. 
    Ne'   e'    possibile    accedere    ad    una    interpretazione
costituzionalmente orientata della norma, posto che dal  testo  della
legge si ricava una presunzione assoluta  in  ordine  al  superamento
della soglia di reddito  prevista  che,  inevitabilmente,  per  tutto
quanto detto prima, collide con i principi costituzionali in materia. 
    Dall'esame dei lavori preparatori all'art.  12-ter  del  d.l.  n.
92/2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 125/2008, che  ha
introdotto il comma 4-bis del  d.P.R.  n.  115/2002,  emerge  che  il
legislatore e' intervenuto con la precisa e  dichiarata  volonta'  di
limitare l'accesso al beneficio per i soggetti che siano  gia'  stati
condannati per uno dei reati indicati nel predetto art. 12-ter. 
    Ed invero, nel dossier n. 33 del  luglio  2008  (Atto  Senato  n.
692-B),                                                           (in
http://www.parlamento.it/documenti/repository/dossier/studi/2008/Doss
ier_033.pdf) si legge: «in primo luogo, viene  modificato  l'art.  76
del  Testo  unico,  introducendovi  il  comma  4-bis,   che   prevede
l'esclusione dal gratuito patrocinio per i  condannati  con  sentenza
irrevocabile per alcune categorie di  reati  di  particolare  allarme
sociale (lettera a)). Per tali soggetti e',  infatti,  stabilita  una
presunzione di superamento delle condizioni reddituali necessarie per
accedere a tale beneficio. La condanna definitiva deve  riguardare  i
seguenti  reati:  -  associazione  mafiosa  (art.  416-bis  c.p.);  -
associazione per delinquere finalizzata al contrabbando  di  tabacchi
lavorati esteri (art 291-quater, d.P.R. 23 gennaio 1973,  n.  43);  -
produzione, traffico e detenzione illeciti di sostanze stupefacenti o
psicotrope, limitatamente alle ipotesi  aggravate  (artt.  73  e  74,
comma 1, del testo unico di cui  al  d.P.R.  n.  309/1990);  -  reati
commessi  avvalendosi  dell'intimidazione  connessa  all'appartenenza
all'associazione  mafiosa  o  al  fine   di   agevolare   l'attivita'
associativa». 
    L'esame dei lavori preparatori conduce ad escludere, senza dubbio
alcuno, se non ponendosi in  aperto  contrasto  con  la  disposizione
legislativa e con l'intenzione del legislatore emergente  dai  lavori
preparatori,   la   possibilita'   di   accedere   ad   una   lettura
costituzionalmente orientata della norma de qua (dovendosi  escludere
l'unica lettura costituzionalmente orientata della norma ed ammettere
la  possibilita'  per  il  condannato  di   dimostrare   l'incapienza
patrimoniale, l'inesistenza di redditi, anche illeciti o occulti  ed,
in definitiva, la propria non abbienza).